Quest’oggi a Roma dalla sede di Bankitalia è stata presentata la relazione sulla parte italiana del rapporto Doing Business stilato dalla World Bank.
Vi riporto la presentazione fatta da Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia:
“In presenza di vincoli stringenti di finanza pubblica, oggi la crescita è, ancor di più, un imperativo non eludibile. Le difficoltà del nostro sistema economico hanno radici profonde, dalle condizioni della finanza pubblica alle caratteristiche del sistema produttivo, all’azione pubblica. La crescita va perseguita agendo sui problemi strutturali, con un approccio ad ampio raggio, il più possibile integrato. L’insufficiente concorrenza e la cattiva regolazione in alcuni mercati – specie dei servizi; una pubblica amministrazione spesso inefficace e fonte di oneri burocratici eccessivi per le imprese e i cittadini; un elevato livello di imposizione fiscale; un mercato del lavoro poco flessibile e segmentato; un sistema educativo poco attento a innalzare la qualità del capitale umano e a favorire l’inclusione sociale; una giustizia civile troppo lenta sono alcuni dei principali fattori che limitano la capacità competitiva della nostra economia e ne ostacolano la crescita. L’Italia non può che proseguire con decisione nel programma di riforme avviato. Occorre innanzi tutto assicurare la piena e concreta attuazione delle riforme già approvate dal Parlamento.
Dall’estate del 2011 sono state varate importanti riforme strutturali volte a creare condizioni economiche e regolamentari più propizie alla crescita. Lo sforzo realizzato è stato di grande portata e ha interessato un fronte molto vasto di temi: la rimozione delle restrizioni alla concorrenza e all’attività economica; la creazione di un contesto amministrativo più favorevole all’attività di impresa; una ridefinizione in senso meno dualistico delle regole del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Tuttavia le ricadute positive di questi interventi sull’attività economica non sono immediate. L’attuazione concreta di molte riforme richiede tempo: in alcuni casi è demandata a passi successivi, in altri vi sono importanti aspetti ancora non affrontati. Difficoltà si manifestano a seguito di resistenze politiche e sociali, di carenze nelle capacità amministrative, dell’intrico di norme e responsabilità amministrative su cui intervenire (basti pensare al ruolo dei diversi livelli di governo); la scarsità di mezzi finanziari non aiuta. Molto resta da fare. Il rapporto continua a evidenziare un ambiente istituzionale assai poco favorevole all’attività di impresa. Colloca il nostro paese alla 73esima posizione, sebbene per la prima volta dopo diversi anni si possa osservare un contenuto miglioramento. Nell’affrontare le radici della bassa crescita non può essere ignorato uno dei tratti distintivi del nostro Paese: gli ampi divari territoriali e il rapporto Sub-Nazionale di cui discutiamo oggi rappresenta un ulteriore importante contributo. Conferma che le differenze all’interno del Paese in termini di efficienza nel funzionamento delle amministrazioni e di qualità dei servizi offerti risultano elevate e tuttavia non appaiono sempre riconducibili al divario economico tra il Nord e il Sud del Paese. Secondo le indicazioni del rapporto se in ciascun settore si adottassero le prassi in vigore nelle città più virtuose, il posizionamento dell’Italia nella graduatoria complessiva di Doing Business migliorerebbe di 17 posizioni avvicinandoci alla media dei paesi OCSE. Pertanto la misurazione, il confronto e l’analisi possono dunque costituire un importante volano per le riforme: stimolando la competizione virtuosa tra amministrazioni locali, possono consentire l’individuazione di interventi concretamente attuabili. Si tratta di vincere gli ostacoli, le resistenze alla concorrenza tra ordinamenti locali. Ciò assicurerebbe un fondamentale complemento alle riforme nazionali volte alla semplificazione legislativa e amministrativa“.
Il testo integrale del “Doing Business in Italy” lo trovate qui. Se invece volete approfondire con il Global report del Doing Business 2013 lo potete trovare qui. Sfogliando le quasi 300 pagine del rapporto si scopre che l’Italia (73°) è meno accogliente per fare impresa rispetto alla Repubblica Kyrgyza (70°) al Ghana (64°) e con la disgraziatissima Cipro (prossima nella lista della trojka) ben lontana al 36° posto. C’è tanto dunque da recuperare, anche se la classifica era ancora peggiore un anno fa, e non c’è grande vanto nel vedere che -ad esempio- la Serbia, che sembra da qualche mese essere diventata il paradiso degli imprenditori italiani in fuga, si ritrova dieci posizioni più in basso, all’86° posto.
Un coefficiente che -a mio personale ed umilissimo avviso- sarebbe stato interessante misurare è quello della mobilità sociale, che ritengo un vulnus cronico di questo Paese, che rende ancora più difficile che il potenziale innovativo possa esprimersi appieno. Attraverso 5 indicatori:
- avvio d’impresa
- ottenimento dei permessi edilizi
- trasferimento di proprietà immobiliare
- risoluzione di dispute commerciali
- commercio transfrontaliero marittimo
sono state invece messe a confronto 13 città e 7 porti italiani. Tra loro vengono evidenziate enormi differenze: cambiano le normative e le prassi amministrative a seconda di dove si opera. Ad esempio per l’ottenimento dei permessi necessari alla costruzione di un magazzino da parte del comune servono oltre sei mesi a Catanzaro e Palermo, le metà del tempo a Napoli, Campobasso e Potenza e appena un mese a Milano. Seppure nessuna città eccella in tutti gli indicatori, esistono buone pratiche in molte delle città analizzate. Le voci più gravi, che esprimono le maggiori criticità sono la burocrazia con procedure lunghe, inefficienti e costose e gli emolumenti professionali che rappresentano in media oltre il 70% del costo totale di apertura di una attività “E’ una tassa forte sulla nascita delle imprese che finisce ad una categoria di rentier” ha detto il ministro Barca.

Chiunque faccia impresa queste cose le sa bene. Oggi per sfangarla occorre essere capaci di avere una redditività del businnes ben oltre la concorrenza anche solo per essere a pari sul mercato. Oppure poter operare in mercati di nicchia o in condizioni di quasi monopolio.
Oltre al solito annoso problema del Malaffare , quello delle dispute commerciali (unito alla velocità di giudizio anche della giustizia ordinaria) è uno scoglio da Comandante Schettino.
Se fossi un imprenditore estero non ci penserei per nulla di venire a fare impresa qui. A meno di arrivare con una potenza di fuoco tale da poter tenere testa per anni senza problemi.
Occorre però tener presente che le realtà non sono molto dissimili anche in altri paesi europei .In Francia Stato e Sanità sono vincenti rispetto a noi , ma la burocrazia è anche peggio. E a me sembra che la gente sia anche meno motivata.
Il rischio del protrarsi di tutte queste situazioni è quello di abbattere il morale e la voglia di fare impresa che è nel DNA delle popolazioni italiche
per citare Stiglitz nel suo bellissimo ” La globalizzazione e i suoi oppositori” ( un libro che piacerebbe molto a Guru se non fosse così taccagno da non comprarselo 🙂 lui lo vorrebbe gratis su internet
i costi della disoccupazione sono elevatissimi, e si esprimono con ansia diffusa fra coloro che sono riusciti a mantenere il posto di lavoro ,in un maggior senso di alienazione, in un più gravoso onere economico sui famiglliari occupati e nella rinuncia ll’istruzione dei figli che devono lavorare per aiutare la famiglia . Questi costi sociali hanno ripercussioni nel tempo che vanno ben oltre l’immediatezza del licenziamento
Basta leggere queste parole in chiave di voglia di fare impresa e i brividi scorrono lungo la schiena